Qualche segnale Mario Draghi, all’epoca del suo Governo, lo aveva lanciato, libero com’era dai condizionamenti politici. Ma in quella fase, probabilmente, la necessità di “recuperare” consenso da parte di praticamente tutta la classe politica ha fatto passare in secondo piano quello che oggi è sotto gli occhi di tutti.
La Nadef (la nota di aggiornamento di economia e finanza), presentata ieri dal Governo, ha confermato le ipotesi della vigilia, con il “macigno” dei bonus edilizi che ha raggiunto un livello “devastante”, per usare le parole di Giancarlo Giorgetti, Ministro del Tesoro: un “fardello” che ha raggiunto, oramai, l’apocalittica cifra di € 219 MD, di cui ben 160 MD di solo superbonus 110% (già al netto di circa € 16 MD che l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto di escludere dal computo), di cui 90 MD nel solo 2023: in tutto, quindi, oltre 43 MD oltre quanto indicato a fine 2023 (176 MD).
Numeri che non possono non avere impatto sui nostri conti, a maggior ragione in una fase in cui la crescita, un po’ in tutta Europa, ancor di più nel nostro Paese, continua a mostrare segnali modesti: non soltanto il rapporto Debito/Pil quest’anno tornerà a crescere, salendo al 137,8%, ma lo farà anche negli anni successivi, toccando il 138,9% l’anno prossimo e il 139,8% nel 2026. Questo a causa anche, come detto, di una crescita piuttosto lenta, che ha portato il Governo a ridurre le stime, per quest’anno, dall’1,2% all’1% (comunque ben sopra le previsioni di quasi tutte le altre Istituzioni), per poi passare all’1,1% nel 2025 e allo 0,9% nel 2026.
Rispetto alle stime di un deficit pari al 4,3% del PIL, in base ai numeri di cui sopra dovremmo essere circa 1 punto più su (5,3%): si fa strada, dunque, l’ipotesi di una manovra correttiva per individuare circa 20 MD di risorse per finanziare lo “sforamento”.
C’è da dire che l’Europa, vuoi perché recentemente è stato trovato l’accordo sul nuovo Patto di stabilità, vuoi perché tra un paio di mesi si terranno le elezioni per rinnovare il Parlamento europeo, al momento non pare eccessivamente preoccupata a riguardo della situazione italiana, per la quale, in teoria, potrebbe anche scattare una “procedura di infrazione”. Peraltro, appunto, solo “in teoria”, avendo la UE, nei fatti, autorizzato i vari governi (quindi non solo il nostro) a presentare un Documento di Economia e Finanza in un formato “light”.
In tutto questo, fa capolino una buona notizia: dopo 16 anni, il PIL pro-capite italiano (al netto dell’inflazione) è tornato sui livelli del 2007. Ad essere onesti, una buona notizia solo a metà. Infatti, solo la Grecia, in Europa, ha fatto peggio di noi, ancora lontana dal livello del 2007. E comunque, il merito si concentra nella crescita eccezionale fatta registrare dal nostro Paese dopo il Covid, con un’occupazione che è andata sempre più crescendo (soprattutto in rapporto a quella in età di lavoro) e una più alta produttività oraria. Fattori che hanno fatto sì che nel periodo 2019-2023 il PIL pro-capite sia aumentato del 4,8%, mentre quello per individuo in età di lavoro sia cresciuto di ben il 5,6%. Meglio di qualsiasi altro Stato membro. Numeri che hanno sorpreso non poco molti osservatori, che stimavano, nel 2021, il “recupero” dei parametri del 2007 solo nel 2030. Ma senza andare troppo in là nel tempo, ancora 6 mesi fa si pensava che solo nel 2026 avremmo recuperato un simile livello di ricchezza “individuale”. Risultati, evidentemente, non casuali, ma frutto di politiche fiscali, a livello europeo (vd per esempio il PNRR) ma anche a livello “domestico”, fortemente espansive. In concreto, l’altra faccia della bilancia: da una parte causa della lievitazione della spesa pubblica e, quindi, del debito, dall’altra contributori fondamentali per spingere occupazione, lavoro e domanda di beni e servizi. Né più ne meno di quello che sta succedendo oggi negli USA, con Biden impegnato a “inondare” il sistema di denaro, grazie agli aiuti fiscali, bilanciando la politica monetaria di maggior fermezza confermata, per il momento, dalla FED.
Giornata altalenante, quella di ieri, a Wall Street. Alla fine delle contrattazioni, il Nasdaq, con un recupero finale, si è portato sopra la parità, chiudendo a + 0,39%, mentre il Dow Jones si è confermato sui livelli del giorno prima.
Questa mattina, nell’area del Pacifico, si distingue l’Hang Seng di Hong Kong, che cresce dell’1,8%, trascinato da Alibaba e dalle società dell’automotive.
Deboli il Nikkei (- 0,48%) e Shanghai, che arretra dello 0,49%.
Chiuse per festività la Corea del Sud e Singapore.
Futures in rialzo ovunque, con quelli europei che spiccano (+ 0,50/0,60%).
In fase di stabilizzazione il petrolio, dopo i corposi rialzi delle ultime settimane, con il WTI a $ 85,55 (+ 0,27%).
Gas naturale Usa a $ 1,901, + 1,39%.
Nuovo record per l’oro, a $ 2.374 (+ 0,41%), che ormai “vede” i $ 2.400.
Stabile lo spread, a 132,6 bp.
BTP a 3,74%, in leggero recupero.
Bund 2,37% (- 6 punti base).
Treasury al 4,35%, in leggero calo dal 4,40%.
€/$ poco mosso, a 1,0857.
Bitcoin a $ 69.459, + 0,50%.
Ps: negli ultimi 20 anni, l’Italia ha perso circa il 20% della popolazione under 35. Oggi, in questa particolare classifica, siamo gli ultimi in Europa. Nessuno, negli ultimi 2 decenni, ha fatto peggio di noi. In termini assoluti vuol dire 3,5 milioni di under 35 in meno. E il fenomeno continua: basti pensare che solo l’anno scorso ben 18.000 neolaureati hanno lasciato il nostro Paese (il 281% in più vso il 2011). Difficile pensare ad un futuro migliore senza i giovani. Anzi, è proprio difficile pensare ad un futuro.